Per produrre questa grandissima pancetta tesa si utilizzano la schiena e la pancia dell’animale, con la presenza pregiata di parte dell’arista. La lavorazione, dopo la separazione del prosciutto dal tronco anteriore, prevede che la parte centrale sia disossata e rifilata dal grasso in eccesso. Il pezzo è poi strofinato con una prima mistura di pepe, aglio rosso macinato grossolanamente, ginepro e altre spezie toscane – c’è chi usa anche la scorza dell’arancia – e, infine, messo sotto sale grosso.
Dopo la salatura, che dura circa 10 giorni, la tarese è lavata, fatta asciugare, nuovamente massaggiata con aglio e spezie, e avviata quindi alla stagionatura per un periodo variabile dai 60 ai 90 giorni.
La tarese del Valdarno si caratterizza per un sapore pronunciato e persistente, ma, allo stesso tempo, più fine e delicato rispetto ad altri salumi di simile fattura. Il grasso dell’arista dona morbidezza e pastosità mentre il profumo è aromatico anche in virtù delle spezie di cui è ricoperta.
Nel passato era abitudine gustarla, non troppo stagionata, passata per qualche minuto sulla griglia, con un contorno di teneri radicchi invernali che ne esaltano il sapore, o con i fagioli coco e zolfino.